martedì 23 ottobre 2012

Danica Patrick: un'incognita per il 2013



A dispetto di una stagione in cui la pace car è entrata in pista pochissime volte, la seconda gara stagionale di Kansas City è stata veramente movimentata, con ben quattordici interruzioni a causa di incidenti vari. La nuova conformazione dell'asfalto, insieme a delle condizioni climatiche difficili (cielo nuvoloso e umidità alta) e a delle gomme troppo dure per il tracciato, hanno costituito un cocktail difficile da smaltire per le stock car della NASCAR. Ci sono state diverse forature e testacoda, che hanno messo a dura prova la capacità di controllo dei piloti e di messa a punto delle squadre. Grazie a questa situazione, la corsa è stata incerta fino alla fine e ha visto finire contro il muro grandi protagonisti della categoria, come il dominatore di buona parte della gara Aric Almirola e il cinque volte campione Jimmie Johnson, autore di un ottimo recupero verso la fine, aiutato da una perfetta riparazione di emergenza effettuata dai proprie meccanici.

Tra i vari incidenti, quello che ha fatto più discutere è stato quello tra Landon Cassill e Danica Patrick. Tutto ha avuto inizio quando Cassill ha superato un paio di volte la Patrick rifilandole una leggera ruotata, tutt'altro che volontaria. Danica ha reagito nei peggiori dei modi, spingendo Cassill alla curva successiva. Il pilota della Toyota numero 83 è finito in testacoda controllando normalmente la sua vettura senza andare a sbattere, mentre la ragazza della Chevy numero 10 si è girata da sola e in un maldestro tentativo di controsterzo è finita violentamente contro il muro. Per certi versi, la scena ci ha ricordato di quel tardivo speronamento da parte di Michael Schumacher ai danni di Jacques Villeneuve a Jerez de la Frontera, in occasione dell'ultima gara del campionato mondiale di Formula 1 del 1997. Il tedesco aveva comandato la classifica del campionato per buona parte della stagione, pur guidando una Ferrari nettamente inferiore alla Williams, e al vedere la vettura del canadese che lo sorpassava, instintivamente ha provato a chiudere la traiettoria, finendo mestamente insabbiato nella via di fuga.

Se il settevolte campione del mondo, che al tempo poteva comunque vantare due titoli mondiali, aveva fatto una manovra improvvisata, quello che ridicolizza la Patrick, indipendentemente dalla sua bravura tutta da dimostrare nella Sprint Cup, è che il suo gesto è stato premeditato, offrendo il materiale più atteso per le battute dei maschilisti. Lo stesso Cassill ha detto al team via radio dopo l'accaduto: "Regola numero uno delle stock car: imparare a speronare gli altri senza finire tu stesso contro il muro". Frase che ha scatenato l'ilarità dei commentatori. L'incidente non è stato nemmeno accettato facilmente dal team della Patrick, come si nota dalle parole espresse dal capomacchina Greg Zipadelli. Appena dopo lo speronamento, ma un attimo prima che finisse contro il muro, Zipadelli le ha detto alla radio con tono minaccioso: "Take it easy", cioè "stai tranquilla e non fare cavolate". Appena dopo l'impatto è arrivato un lapalissiano "puoi fare meglio di così".

In vista del suo ingaggio da parte del team Stewart-Haas per il 2013, ci si chiede: Danica Patrick si merita un posto nella Sprint Cup? Difficile rispondere, visto che l'ex-pilotessa della IndiCar ha guidato una vettura di un team dai mezzi limitati, come quello di Tommy Baldwin, ma l'incidente di domenica lascia diversi interrogativi. Senza scomodare manovre da leggenda, come il controsterzo di Jamie McMurray a Las Vegas nel 2009 o il sorpasso sull'erba di Dale Earnhardt a Charlotte nel 1987, la Patrick ha fallito una semplice manovra di controllo mentre Cassill si fermava senza danni sull'asfalto. Appena pochi giri dopo , Tony Stewart e Aric Almirola sono riusciti a evitare il muro pur finendo in testacoda a velocità decisamente più alte. E' vero che la Patrick si è classificata decima nel campionato della Nationwide (nonostante cinque ritiri per incidente su trenta corse), ma ci sono stati solo tredici piloti che hanno disputato tutte le gare. Se consideriamo i soli piazzamenti tra i primi dieci, Danica sarebbe ventiduesima in graduatoria. Questo la dice lunga sul fatto se si meriti o meno un posto nella classe regina della NASCAR e in qualche modo ribadisce quanto già dimostrato per altri piloti venuti dalle ruote scoperte. Da questo punto di vista, il 2013 sarà già una prova d'appello per Danica Patrick.

martedì 2 ottobre 2012

NASCAR: Il vero Chase è cominciato a Dover


Dopo una gara inaugurale a dir poco noiosa come quella di Joliet e una appena meglio come quella di Loudon, dove tutti i protagonisti del campionato si sono piazzati nelle prime posizioni, la 400 miglia sul difficile tracciato di Dover ha delineato decisamente l'andamento della lotta per il titolo 2012.

Un guasto al retrotreno ha praticamente eliminato dalla lotta Matt Kenseth e solo un miracolo potrebbe farlo rientrare nel giro che conta. Non molto meglio va al compagno di squadra Greg Biffle, dominatore della prima fase del campionato, che dopo una gara incolore ha oltre 51 di distacco dal leader Brad Keselowski, vincitore di due delle tre gare del Chase disputate. Nonostante il secondo posto, Jeff Gordon rimane molto staccato dalla vetta, ma nel suo caso i 48 punti di ritardo non sembrano una barriera insormontabile, vista la sua competitività, ma il botto di Joliet lo sta penalizzando tantissimo.

Dale Earnhardt Jr., Martin Truex Jr. e Kevin Harvick iniziano ad accumulare un ritardo non facile da recuperare, soprattutto se pensiamo che questi tre piloti non sono al massimo della loro forma. E' vero che si piazzano costantemente tra i primi, ma nella lotta per il titolo, non bisogna mai restare fuori dai primi cinque. Per diverse ragioni, Kasey Kahne e Tony Stewart hanno vissuto una giornata storta, ma le loro ottime prestazioni nelle prime due gare consentono loro di restare lì alla finestra.

I primi quattro della classifica sono nell'ordine Keselowski, Jimmie Johnson, Denny Hamlin e Clint Bowyer e da quanto visto in pista saranno soprattutto i primi tre a giocarsi il titolo. Si tratta di tre piloti che riescono a dare il massimo in ogni momento, a sistemare le cose quando tutto va male e a compiere l'impossibile, come ha fatto Keselowski risparmiando miracolosamente combustibile fino alla fine.

Anche se dovessero essere soltanto loro tre a lottare fino alla fine, la battaglia si preannuncia tutta da gustare. Ma c'è sempre un "ma": la settimana prossima si corre a Talladega, dove i risultati sembrano più dovuti ad una lotteria che ad una corsa (anche se in realtà le cose non stanno così). E la situazione potrebbe cambiare completamente...

mercoledì 19 settembre 2012

NASCAR: Poco da dire a Joliet



Il Chase 2012 è cominciato. Dopo una dura battaglia, Brad Keselowski ha vinto la gara di Joliet battendo un velocissimo Jimmie Johnson. Tra i due è scoppiata la polemica a causa di un'uscita dai box piuttosto agguerrita da parte del pilota della Dodge numero 2. Visti i codici taciti tra i piloti NASCAR, nessuno sarebbe sorpreso se Keselowski dovesse finire contro il muro nelle prossime gare.

Quello stesso muro che ha atteso Jeff Gordon, l'eroe della precedente corsa a Richmond, incolpevole in quella frenata a ruote bloccate necessaria poichè gli si era bloccato l'acceleratore. Visti i precendeti dei playoff, quando si incappa in una gara disgraziata, il titolo è perso.

Tutti qui, non ci sono altri commenti da fare su una gara che più monotona di così non poteva essere. Certo che la fantasia non esondava all'ora di costruire i nuovi tracciati che negli ultimi anni hanno iniziato a ospitare la NASCAR.

giovedì 13 settembre 2012

NASCAR: Che spettacolo a Richmond!



Ancora una volta, tutti i tifosi della NASCAR hanno ringraziato la decisione presa nel lontano 1988 di modificare il circuito di Richmond, allungandolo di 400 metri rispetto ai classico mezzo miglio dei short track. Come al solito, sul tracciato della Virginia è venuta fuori una corsa con i fiocchi, degna da essere ricordata a lungo. Nessuno sa ancora come abbia fatto Clint Bowyer a vincere riuscendo a percorrere quella serie infinita di giri a fine gara senza rifornire. Grande merito del pilota, capace di staccare la trasmissione al momento giusto senza perdere troppo tempo, e complimenti alla squadra, che lo ha supportato strepitosamente dal punto di vista strategico.

Ci sarebbe da dire una cosa su questo meritato successo. La vittoria è arrivata anche grazie ad un fatto successo lontano dalle telecamere e di cui pochi se ne sono accorti. Prima dell'ultimo pit stop, Mark Martin stava macinando giri veloci uno dietro l'altro e sembrava in grado di vincere la corsa. Al momento della fermata ai pits, c'è stata un'incomprensione tra Martin e altri piloti che si trovavano sulla linea interna del tracciato. Il veterano pilota dell'Arkansas ha dovuto tirare dritto per evitare un incidente e percorre un altro giro prima di fermarsi, perdendo tempo prezioso. Senza questo inconveniente, Martin sarebbe uscito dai box con un ritardo inferiore rispetto a Bowyer e avrebbe potuto raggiungerlo e superarlo senza subire il ritorno di Jeff Gordon.

Per quanto riguarda "Wonderboy", non bastano le parole per descrivere la sua miracolosa qualificazione ai playoff. Partito in prima fila, Gordon ha fatto qualche giro in testa prima di ritrovarsi nelle retrovie con una vettura completamente inguidabile. Al momento della bandiera rossa a causa della pioggia, il quattro volte campione della NASCAR era a dir poco arrabbiato e deluso, consapevole del fatto che sarebbe stato impossibile battere Kyle Busch. Invece Gordon, il capomacchina Alan Gustavson e tutto il team Hendrick non si sono dati per vinti e hanno lavorato giro dopo giro per trovare un assetto corretto e lottare per le prime posizioni. Complice una scelta strategica sbagliata da parte del team Gibbs, Gordon si è qualificato al Chase per un solo punto. E se questo è stato il duello per la qualificazione ai playoff, cosa ci aspetterà quando i piloti si batteranno per il titolo.

giovedì 23 agosto 2012

NASCAR: una storia di incidenti bizzarri


Chi nutre una profonda ammirazione, forse viziata da motivi nostalgici, per quella generazione unica di piloti che hanno animato la NASCAR tra la fine degli anni '70 e i primi anni 2000, non può che gioire per l'ottima gara fatta da Mark Martin a Brooklyn. A dispetto dell'età, il quasi cinquantatrenne pilota dell'Arkansas è partito indisturbato dalla pole position e ha dominato il primo terzo di gara, prima di rimanere vittima di un bizzarro incidente causato da Bobby Labonte. Il campione del 2000 è finito semplicemente in testacoda, ma il brusco ralletamento da parte di Juan Pablo Montoya che lo seguiva, ha causato una toccata tra Martin, primo, e Kasey Kahne, secondo, con i due finiti in testacoda. Se il pilota della Chevy numero 5 è riuscito a fermarsi sul prato, il veterano della Toyota numero 55 è finito con i freni bloccati nella corsia dei box. Martin ha leggermente urtato il muro che protegge i meccanici prima di finire di taglio contro lo stesso muro, proprio in una delle aperture che servono alle squadre per portare le vetture dalla pitlane ai garage e viceversa.

Come i guardrail che nel recente passato si sono infilati traficamente su delle auto da rally in alcune competizioni italiane, il terribile blocco di cemento è entrato nel passaeruota posteriore sinistro fino a tranciare l'albero cardanico di trasmissione. In poche parole, è arrivato alla linea di mezzeria dell'automobile. La terribile domanda che tutti si pongono è: se l'impatto fosse avvenuto circa un metro più avanti, cioè sul fianco del pilota?

E' una domanda alla quale è difficile rispondere. L'urto è stato tremendo (il blocco di cemento infatti si è spezzato) ma è pur vero che sulla sinistra dei piloti è presente una gabbia fitta di tubi di acciaio con una lastra protettrice di oltre un centimetro di spessore. Alla mente vengono due incidenti successi nella serie Nationwide nello stesso punto del circuito di Bristol (dove si corre il prossimo sabato). In entrambi i casi, piloti hanno sfondato il guardrail della curva 2, dove è presente il passaggio per raggiungere l'interno della pista, finendo di taglio contro il muro. Sia Michael Waltrip nel 1990 che Mike Harmon nel 2002 (in questo caso con l'aggiunta di un tamponamento successivo al primo impatto) se la sono cavata miracolosamente senza danni, ma chiunque osservi le immagini può solo che ringraziare qualche entità divina.

La questione delle due aperture di Bristol sono state a suo tempo sistemate, così come il problema degli angoli di impatto a Pocono (ricordiamo la vettura di Elliott Sadler senza motore nel 2010), dove è stata aggiunta una barriera più prossima alla pista. Analogamente, non vediamo più volare vetture fuori dai circuiti sin dagli anni '90, quando Ricky Craven finì al di là del muro. I meccanici ai box sono protetti sia dai loro caschi che dalle velocità contenute e il pubblico viene separato dalle vetture in corsa da reti ancora più alte, dopo il contatto tra Carl Edwards e Brad Keselowski a Talladega nel 2009. Quindi non resta che trovare una soluzione anche per questo strano incidente, magari inserendo queste entrate verso i garage soltanto da metà pitlane in poi.

Certo è che la NASCAR vede spesso degli incidenti bizzarri, come quella volta in cui Geoffrey Bodine finì contro una station wagon del pubblico a Daytona nel 1981 oppure come quella volta in cui Montoya fecè scoppiare un colossale incendio sulla stessa pista nel 2012.

martedì 14 agosto 2012

NASCAR: Un duello d'altri tempi a Watkins Glen



I forum che riguardano le competizioni automobilistiche si sono infiammati dopo l'avvincente duello a tre fra Kyle Busch, Brad Keselowski e Marcos Ambrose per la vittoria nella 355 chilometri di Watkins Glen. In quest'ordine si sono presentati alla prima curva dell'ultimo giro e l'ultimo dei tre l'ha spuntata all'ultima curva dello stesso, dopo una serie di toccate al limite (e oltre) del regolamento. A commentare i fatti, non ci sono stati i soliti assidui tifosi della categoria, ma anche diversi altri appassionati di motori che raramente rivolgono l'attenzione alle competizioni stock car. Esiste una netta linea di separazione tra i generici appassionati di motori e coloro che seguono le gare americane. Tale demarcazione, che nelle discussioni più accese diventa una vera e propria barricata, è determinata dall'utilizzo massiccio di tracciati ovali, giodicati poco selettivi dagli appassionati "europei". Se per una volta, tale barriera è sparita, è proprio perchè la corsa in questione si disputava su un tracciato stradale.

Tifosi "europei" e "americani" si sono uniti nel vedere le vetture della NASCAR sbandare ad ogni curva, intraversarsi ad ogni frenata e slittare ad ogni accelerazione. A forza di staccate fumanti con ruote bloccate, sportellate più o meno legali e traiettorie in piena via di fuga, la Sprint Cup si è guadagnata un piccolo spazio nelle cronache in cui non compare abitualmente. Poichè la curiosità è tanta, andiamo a spiegare agli "europei" il perchè di questo spettacolo.

Al giorno d'oggi, le stock car della NASCAR sono delle vetture di tipo "silhouette", cioè bolidi da corsa che somigliano (molto lontanamente) alle berline stradali in vendita dal concessionario. Poichè devono sopportare i terribili urti che possono capitare sugli ovali in cui si viaggia a 330 chilometri all'ora di velocità massima (vetta registrata quest'anno a Brooklyn), il telaio è costituito da un traliccio di tubi in acciaio di grosso spessore, rinforzato sulle fiancate da lastre piane sempre in acciaio. Per queste ragioni, le vetture sono sì resistenti, ma anche piuttosto pesanti e con un baricentro relativamente alto rispetto a quello delle principali vetture da competizioni mondiale. Ci troviamo con una vettura pronto corsa che pesa 1600 chilogrammi contro i soli 600 (pilota incluso) di una Formula 1. In poche parole, a parità di velocità l'inerzia in curva di una stock car è di due volte e due terzi rispetto a quella di una monoposto del circus. E' questo il motivo che rende queste "silhouette" così difficili da controllare nelle curve piatte dei tracciati stradali, mentre l'effetto viene quasi eliminato nelle curve sopraelevate degli ovali, a cui si aggiunge l'uso di un assetto pesanemente asimmetrico.

Se il telaio non aiuta a ottenere una vettura stabile, il motore peggiora ulteriormente le cose. I "piccoli" motori di 5800 centimetri cubi introdotti nel lontano 1970 (in sostituzione dei consueti motori da 7 litri) sono rimasti praticamente gli stessi da tale data (se escludiamo l'iniezione elettronica datata 2011), ma la potenza è arrivata a quasi 900 cavalli. La NASCAR Sprint Cup Series è la categoria che vanta attualmente i motori più potenti del mondo, mentre la Formula 1 è da anni (fine 2006) ferma a 750 cavalli. Questa potenza è brutale e molto difficile da gestire quando si corre sugli stradali. Sugli ovali il problema non si pone, perchè non ci sono ripartenze da bassissime velocità (escludendo Martinsville e Loudon), ma nelle curve lente del Glen e di Sonoma, mettono a dura prova la sensibilità sul piede destro dei piloti, che non hanno alcun dispositivo elettronico che possa dosare la potenza.

Se quelle elencate finora sono delle ragioni tecniche, esiste un motivo sportivo che ci consente di ammirare duelli come quelli di domenica. Le gare su stradale, sono delle corse in cui conta decisamente la posizione in pista. Poichè una fermata completa ai box non causa la perdita di un giro, rifornire prima dell'entrata della pace car risulta essere un vantaggio, perchè la vettura staffetta blocca i leader che non possono rifornire finchè la pit lane non è aperta, quindi chi si ferma dopo l'uscita delle bandiere gialle, perde la posizione rispetto a chi si è fermato prima (è la strategia utilizzata da Fernando Alonso quando vinse il polemico GP di Singapore del 2008). Questa fa sì che tutti i piloti rientrino per l'ultima volta ai box quando al traguardano manca l'esatto numero di giri percorribile con un pieno di benzina. Per questa ragione, nell'ultimo giro di Watkins Glen abbiamo visto Kyle Busch alle prese con la mancanza di combustibile, mentre Brad Keselowski e Marcos Ambrose se le davano di santa ragione con le gomme ormai sulle tele.

Duelli come quello di domenica, ci ricordano gli anni '60 e '70, quando le stock car avevano dei telai tutt'altro che rigidi e sbandavano di continuo anche sugli ovali. Così come spesso rimpiangiamo nostalgicamente i bei tempi del passato quando ci troviamo di fronte alle nuove regole contemporanee, figlie del logiche illogiche delle televisioni, questa volta esaltiamo nella NASCAR dei giorni nostri la pura essenza dei duelli in pista senza forzature e artifici di sorta. E la cosa potrebbe interessare anche chi non apprezza la NASCAR.

martedì 3 luglio 2012

NASCAR: Conto alla rovescia per il Chase



Con la gara di Sparta, è iniziato il conto alla rovescia per qualificarsi ai playoff della Sprint Cup 2012. Nelle prime otto posizioni, troviamo dei piloti che si trovano ad oltre cinquanta punti sopra la soglia della qualificazione, quindi si potrebbe concludere che a meno di clamorose sorprese, il loro posto nel Chase sia ormai sicuro. Stiamo parlando di piloti da diversi anni molto competitivi, come il capoclassifica Matt Kenseth, il cinque volte campione Jimmie Johnson, il ritrovato Denny Hamlin e Greg Biffle, a lungo in testa al campionato in questo inizio di stagione. Insieme a loro abbiamo alcune sorprese, come la coppia del team Waltrip con Clint Bowyer, vincitore a Sonoma, e Martin Truex Jr. Certamente non sono delle sorprese Dale Earnhardt Jr. e Kevin Harvick, ma quest'anno il primo è tornato alla vittoria a Brooklyn dopo quattro anni mentre il secondo stranamente non ha ancora vinto.

La zona rossa della classifica vede qualificati al momento il campione in carica Tony Stewart e Bard Keselowski. Il primo deve ancora vincere, ma l'anno scorso ha dimostrato di poterlo fare soprattutto quando serve davvero, cioè nelle dieci gare finali. Il secondo invece ha vinto tre volte e sarebbe leader virtuale della classifica all'inizio del Chase. Se rimarrà tra i primi dieci, partirà avvantaggiato nella lotta finale, ma anche se dovesse perdere qualche posizione in classifica, si qualificherà di sicuro come prima wildcard.

Diverso il discorso per i piloti che si trovano oltre la decima posizione. Carl Edwards, undicesimo, al momento non sarebbe qualificato e per assicurarsi un posto nella lotta finale dovrebbe piazzarsi assiduamente tra i primi cinque oppure vincere un paio di corse. Kyle Busch, dodicesimo, al momento sarebbe qualificato ma se vincesse qualche altra gara sarebbe più tranquillo. Il tredicesimo, Paul Menard, sta facendo un ottimo lavoro ma difficilmente si qualificherà, in quanto non si è ancora mai piazzati tra i primi cinque. Serratissima la lotta per la seconda wildcard tra Kasey Kahne, Ryan Newman e Joey Logano, tutti a pari punti e con un successo a testa. Gli altri due che potrebbero metterci lo zampino sono Marcos Ambrose, potenziale vincitore a Watkins Glen, e Jeff Gordon, quattro volte campione della categoria che non ha ancora vinto una gara nel 2012.

Per gli altri, sempre a meno di enormi colpi di scena, non ci sono molte possibilità di qualificarsi per il Chase. Dispiace che un ex-campione come Kurt Busch, decisamente competitivo anche quest'anno, non possa giocarsi le sue carte in quanto il suo team non gli consente sempre di avere una vettura sufficientemente competitiva. Dispiace ancora di più che Mark Martin non disputi l'intero campionato, perchè con la terza vettura del team Waltrip precede in classifica ben dieci piloti che hanno disputato più corse di lui.

giovedì 21 giugno 2012

NASCAR: Insieme a Earnhardt Jr., trionfano i tifosi



Com'è strana la NASCAR, vero? Si va a correre su uno dei circuiti che negli ultimi vent'anni ha offerto meno emozioni e ci si gode una delle corse più belle della stagione, se non la migliore. Il tutto condito con il ritorno di Dale Earmnhardt Jr. alla vittoria.

Erano passati esattamente quattro anni da quando il figlio de "The Intimidator" aveva trionfato per l'ultima volta proprio sulla pista di Michigan. In quell'occasione, Junior vinse grazie ad una perfetta strategia di consumo combustibile, le stesse che tentò senza successo nel corso del 2011. In mezzo, due annate veramente disastrose dove sembrava che Earnhardt fosse già prematuramente nella parabola discendente della sua carriera. Questa volta Dale Jr. ha vinto senza trucchi, senza tattiche e senza azzardi, risultando semplicemente il più veloce di tutti.

La cosa ancora più bella è che a inizio gara le cose non si erano messe per niente bene per il pilota della Chevrolet numero 88. Troppo sovrasterzo sulla propria Impala, che viaggiava tra a metà gruppo senza possibilità di rimonta. Intanto lì davanti c'erano Marcos Ambrose, Kasey Kahne, Greg Biffle, Matt Kenseth e Tony Stewart a giocarsi la vittoria. E' bastata una modifica alla sospensione posteriore (è stato inserito uno spessore di gomma nella molla posteriore sinistra) per far volare la vettura di Earnhardt. Ma la concorrenza non è stata a dormire e Stewart e Jeff Gordon non hanno lasciato Junior in pace. E' stato ben oltre metà corsa, quando Earnhardt sembrava poter dominare la situazione, ma le varie bandiere gialle non lo hanno comunque lasciato tranquillo.

Come se niente fosse, come se avesse vinto ieri, come se le stagioni disastrose non ci fossero mai state, Earnhardt Jr. ha vinto e ora minaccia il leader Kenseth con solo quattro punti di svantaggio in classifica. Inoltre avrebbe solo tre punti di svantaggio nella futura graduatoria del Chase nei confronti di Jimmie Johnson e Denny Hamlin. Come nel 2004, Earnhardt torna a far paura.

Ma non è stato il solo Dale a vincere. Il pubblico è stato finalmente premiato con il successo del suo beniamino e con le prestazioni delle vetture NASCAR ormai arrivate a livelli stratosferici. Ambrose ha ottenuto la pole a 326 chilometri all'ora di media, mentre le velocità di punta in gara sono arrivate a 345, roba quasi da monoposto. Grazie al successo di Earnhardt, la NASCAR è pronta a decollare.

martedì 12 giugno 2012

NASCAR - Quanto lunghe sono cento miglia?




L'ultima gara della NASCAR a Pocono ha presentato una novità: si è trattato della prima corsa sul tracciato della Pennsylvania con la distanza di gara ridotta da 500 a 400 miglia. Cento miglia in meno, equivalenti a centosessantuno chilometri, cioè più di mezzo gran premio di Formula 1. La domanda che ci si pone è la seguente: in quale modo ha influito questa novità?

Bisogna dire che il tracciato di Pocono è uno dei più tecnici dell'intero calendario, con delle problematiche analoghe in quanto a difficoltà a quelle di Darlington, Bristol e Martinsville. Ci sono tre curve completamente diverse tra di loro, con raggi di curvatura via a via maggiori e inclinazione sempre minore. L'unica pista, insieme ai tracciati stradali, dove i piloti possono scegliere di scalare una marcia per percorrere meglio le curve e accelerare più velocemente in rettilineo. Quest'ultimo aspetto pone un ulteriore dilemma: meglio scalare e accelerare meglio con il rischio di rompere il cambio o fare tutto il tracciato in quarta con la paura di fondere il motore?

Grazie a queste caratteristiche, il triovale della Pennsylvania ci assicura delle corse incerte e combattute indipendentemente dalla distanza percorsa. La dimostrazione l'abbiamo avuta domenica dove è successo veramente di tutto: penalizzazioni ai box a go go, incidenti, forature, rotture di motore, sorpassi con sportellate, controsterzi, piloti che pizzicavano l'erba interna della pista sollevando terra...Vittime illustri di questa difficile corsa ce ne sono state parecchie: Kyle Busch, A.J.Allmendinger, Kasey Kahne, Greg Biffle, Jeff Gordon...Alla fine l'ha spuntata il giovanissimo Joey Logano (22 anni, esordiente nel 2009), capace di contenere negli ultimi giri il non più giovanissimo Mark Martin (53 anni, esordiente nel 1981).

Da quanto descritto, si potrebbe dire che la riduzione della distanza totale di gara non abbia influito più di tanto. Anzi, la gara si è conclusa in "appena" tre ore e tre minuti, mentre le vecchie gare di 500 miglia raramente si concludevano entro le quattro ore dalla partenza. In particolare, le continue fasi di neutralizzazioni viste nella seconda metà della corsa, diventavano insopportabili quando la gara era più lunga. Inoltre c'è stato meno tempo per sistemare la messa a punto di certe vetture che non erano al massimo della prestazione, come quelle di Biffle e Gordon.

Però, l'amaro in bocca resta agli appassionati di vecchia data. Non si tratta di un puro esercizio nostalgico della serie "una volta era tutto meglio". Semplicemente, con altri quaranta giri da compire, probabilmente sarebbe scoppiato qualche altro motore, si sarebbe bloccata qualche trasmissione, qualche sorpasso azzardato non sarebbe andato a buon fine e qualcuno dei leader sarebbe rimasto senza benzina. Poichè quasi tutte le 500 miglia tranne una si tengono sui velocissimi ovali di Daytona, Atlanta e Charlotte, le uniche vere maratone della NASCAR sono rimaste la Southern 500 e la Coca Cola 600. Oltre alle due 500 miglia di Pocono, negli ultimi anni sono state eliminate una 500 miglia ad Atlanta e due a Fontana (è rimasta una sola 400 miglia). Inoltre, negli anni '90 sono state ridotte cinque 500 miglia tra Darlington, Dover e Rockingham. Forse la soluzione, almeno per le piste che ospitano due gare stagionali, sarebbe quella di organizzare una gara sprint e una endurance in modo tale da offrire entrambi i tipi di tipologia di gara.

martedì 22 maggio 2012

NASCAR: il fascino dei format alternativi



Lo Sprint Showdown e lo Sprint All Star Challenge di sabato scorso, sono una bella opportunità per vedere i bolidi della NASCAR sfidarsi solo per la glora (e i soldi) della vittoria, lasciando da parte le logiche di classifiche e l'importanza dei piazzamenti. Si tratta di gare brevi suddivise in ancor più brevi batterie  dove vengono dimenticate le tattiche a lungo termine necessarie nelle gare di campionato della Sprint Cup, dove i singoli eventi vanno avani per oltre tre ore. I brevi spezzoni di gara di 20 giri ciascuno, ci hanno consentito di vedere duelli senza fiato, nei quali i piloti sapevano perfettente di non avere altre chance di ottenere il loro obiettivo. Infatti è stata da urlo la rimonta di A.J.Allmendinger, da ultimo a secondo in solo 40 giri dello Showdown. E che dire delle battaglie per la prima posizione nelle prime quattro batterie del Challenge, dove ogni pilota sapeva di dover ottenere il successo parziale in modo tale da avere poi una concreta possibilità di vincere la battaglia finale.

Abbiamo visto tattiche molto diverse tra i piloti: i vincitori di manche cambiavano gomme, rifornivano e rimanevano in attesa a distanza dei primi per evitare guai, mentre il resto dei piloti sportellava per la prima posizione. In occasione del pit stop obbligatorio, c'è stato chi ha dovuto cambiare le quattro gomme, chi ne cambiate solo due e chi invece si è appena fermato per ripartire di corsa in modo tale da perdere il minor tempo possibile. Alla fine della giostra, Jimmie Johnson ha vinto senza troppe difficoltà, visto che si tratta di uno dei suoi circuiti preferiti, e forse vincerà ancora in occasione della Coca Cola 600 di domenica prossima, ma lo spettacolo è stato diverso dal solito. Forse si poteva applicare quella regola di alcuni anni fa, dove i peggiori due o tre piloti di ogni manche venivano eliminati e non prendevano il via in quella successiva. In quel caso, i vincitori delle singole batterie avrebbero dovuto comunque darsi da fare e ci sarebbe stata lotta anche nelle ultime posizioni.

Se questa gara-esibizione sembra lontana dalle abituali gare della NASCAR, bisogna ricordare che fino al 1971, molte delle corse del campionato si tenevano su una distanza di 100 miglia (160 chilometri) e si concludevano nel giro di un'ora. Addirittura ci sono state gare di 80 e 100 chilometri sui quei cortissimi short track di un terzo e un quarto di miglio, come a Moyock, Chattanooga, Huntsville e il vecchio di Richmond. Ed è proprio su queste piccole piste (al tempo sterrate) dove nacquero le competizioni stock-car alla fine degli anni '40. Verrebbe da chiedersi una cosa: se l'All-Star Challenge è così divertente con questo formato così particolare, perchè non stravolgere il formato di qualche gara durante l'anno? Magari con tanto di due batterie di qualificazione, repechage, prefinale e finale come accadeva nel 1948 nella prima stagione della NASCAR, quando si teneva la sola serie Modified. Oppure con due manche e classifica finale per somma di punti come avvenne in quella stranissima Rebel 300 di Darlington del 1963 nella quale in una delle manche le vetture partirono addirittura da fermo! Qualsiasi format diverso dal solito, purchè non se ne faccia abuso come con le gare in notturna, potrebbe andare bene...soprattutto se in occasione delle "solite" gare da 400 miglia sui triovali di 1.5 miglia.

giovedì 17 maggio 2012

KERS, DRS e Pirelli: caratteristiche della F1 moderna


Dalle colonne del prestigioso settimanale Autosprint, nell'editoriale di apertura del numero 20, il direttore Alberto Sabbatini ha posto nel una domanda alla quale gli appassionati della Formula 1 non riescono a dare una precisa risposta sin dalle prime gare dello scorso anno: ``F.Gomme o F.Noia?''.

Tutte ebbe inizio all'alba del campionato 2011, quando ci fu la reintroduzione del KERS, la novità dell'ala mobile posteriore e il ritorno delle gomme Pirelli. Bisogna dire che il sistema di recupero di energia era stato introdotto come la nuova frontiera della tecnologia nel 2009, ma fu anticipatamente bocciato a causa degli altissimi costi di sviluppo e della poca incidenza sulle prestazioni delle vetture. Infatti quel campionato fu vinto dalla Honda ribattezzata Brawn GP che tale dispositivo non lo montava. Se un merito il KERS lo ha avuto, è stato quello ribaltare completamente i valori in campo, con l'ascesa della Red Bull a scuderia di riferimento e gli intoppi di McLaren e Ferrari, rimaste indietro con lo sviluppo delle nuove vetture dall'aerodinamica modificata da regolamento a causa della progettazione e messa a punto del nuovo congegno elettronico. Su quest'ultimo aspetto, bisogna dire che anche il divieto di prove private durante la stagione abbia avuto il suo peso, in quanto non ha consentito a queste squadre di recuperare come di consueto durante il campionato dovendo provare le novità tecniche direttamente durante i GP. Finita questa dilatata premessa, a causa di un regolamento restrittivo che limita l'energia immagazzinata e il tempo massimo di utilizzo per giro, il KERS non ha modificato sostanzialmente la competitività delle vetture, quindi non ha causato alcuna conseguenza dal punto di vista sportivo. Chi lo ama, dice che sia una rivisitazione moderna del vecchio overboost anni '80 dei motori turbo, chi lo odia lo considera uno stupido pulsante su una F1 che sembra sempre di più un videogioco. Agli uni e agli altri diciamo che l'utilizzo non è libero e in fin dei conti non compromette l'affidabilità del motore (mentre l'overboost usato per pochi secondi rischiava di fondere i motori come successo a Patrick Tambay con la Ferrari a Zeltweg nel 1983 nel difficile doppiaggio della Ligier di Jean Pierre Jarier) e che i pulsanti sul cruscotto ormai non sono una novità da oltre vent'anni.


Per quanto concerne l'ala posteriore mobile, al di là che fosse già stata utilizzata tra i GP di Monaco del 1968 e 1969 prima di essere vietata, le regole per il suo impiego hanno fatto discutere sin dall'inizio. Per i puristi dello sport, sarebbe un particolare interessante se potesse essere usato da chiunque in qualunque parte del circuito, come effettivamente avviene in prova, ma in quel caso tutti i piloti lo utilizzerebbero in rettilineo e di conseguenza non agevolerebbe i sorpassi. Il fatto che possa essere utilizzato solo dal pilota che segue un altro a meno di un secondo di distacco  in una porzione del rettilineo più lungo del circuito (a volte anche due rettifili) e perdippiù solo dopo la conclusione del secondo giro, fa storcere il naso ai puristi. Su questo non si può discutere: di fatto, quando un pilota aziona il DSR, si trova in una condizione regolamentare diversa e favorevole rispetto il pilota che lo precede. Però, il pilota che segue deve fare i conti con il flusso d'aria disturbato della vettura che precede e che gli fa perdere tempo in curva. Di conseguenza, chi è a favore di questo dispositivo sostiene che l'ala mobile sia un surrogato del vecchio effetto scia, che consentiva al pilota che seguiva di acquistare maggiore velocità di chi lo precedeva. A causa delle vetture concepite principalmente sull'aerodinamica, questo effetto scia è stato sempre meno benefico in confronto con il disturbo del flusso d'aria, che ha poi causato il drastico calo dei sorpassi sin dagli anni '90. Con l'ala mobile si è cercato di ritornare al passato, evitando di vedere gare come i GP di San Marino del 2005 e 2006, quando a parti invertite Fernando Alonso su Renault e Michael Schumacher su Ferrari non sono riusciti a superarsi per la testa della gara pur se erano di due secondi più veloci del rivale (Alonso vinse il primo duello sul veloce Schumacher, che si vendicò l'anno dopo beffando lo spagnolo nonostante la sua maggiore competitività).


Passiamo ora ad analizzare la terza e ultima questione, nonchè quella fondamentale: le gomme. Innanzitutto bisogna chiarire che la Pirelli non ha alcuna responsabilità sulla qualità delle coperture, poichè è stata la FIA (o meglio la FOM) a chierdele di introdurre pneumatici che si degradassero in pochi giri. Infatti, il costruttore italiano fornisce il campionato Superbike fornendo delle gomme resistenti e ultracompetitive, al punto che le derivate dalla serie riescono a girare su tempi molto vicini a quelli dei prototipi della motoGP. Nonostante il KERS e il DRS, i sorpassi non sono comunque così facili. Più che altro, se le gomme durassero un intera corsa senza degradarsi, non ci sarebbero tropple situazioni in cui una vettura è più veloce dell'altra e quindi ``bye bye sorpassi''. Non c'è dubbio che i numeri record di scambi di posizione del 2011 siano dovuti a quei frangenti di gara in cui piloti con gomme nuove si sono trovati davanti altri con pneumatici alla frutta. Chi non condivide questa scelta per vedere un po' di azione in gara, sostiene a ragione che non c'è nulla di spettacolare nel vedere un pilota con gomme fresche superare da fermo uno che gira sulle tele. Questa tesi è inconfutabile, ma chi è dalla parte delle gomme ``usa e getta'' crede che sia meglio vedere qualche sorpasso ``fittizio'', che magari può causare errori, rallentamenti e malintesi, piuttosto che sorbirsi una passerella soporifera di monoposto ad alta velocità per novanta minuti.

Andando indietro nel tempo e riguardando vecchie gare divertenti e spettacolari degli anni '80, ci si accorge che spesso, l'incertezza del risultato derivava proprio dal consumo anomalo dei pneumatici. Di sicuro aiutavano circuiti cittadini improvvisati e senza aderenza come Las Vegas, Detroit, Long Beach e Adelaide o gare sotto un caldo torrido come a Rio o Città del Messico, oppure entrambe le cose insieme come nel famoso Gran Premio di Dallas del 1984. Comunque erano anni nei quali le capacità di simulazione da parte di costruttori di gomme, che al tempo erano tanti (Goodyear, Michelin, Pirelli e Avon), non erano così precise come quelle attuali, con il risultato che spesso, pur portando in pista il miglior materiale a disposizione, le gomme si sfaldavano dopo pochi giri. Di esempi ne abbiamo tanti: succedeva quasi sempre nell'apertura stagionale a Jaracarepaguà, successe nel 1983 a Long Beach con l'incredibile rimonta delle McLaren di Niki Lauda e John Watson (ventiduesimo e ventitreesimo alla partenza, primo e secondo sul traguardo), nel 1986 in Messico con le Goodyear (infatti vinse Gerhard Berger con la Benetton su Pirelli) e sempre nello stesso anno nella conclusione del campionato in Australia, dove fu proprio una gomma esplosa a togliere il titolo a Nigel Mansell su Williams e consegnarlo ad Alain Prost su McLaren. Ad essere pignoli e ``bibliografici'', anche il famoso successo di Tazio Nuvolari su ALFA Romeo al Nurburgring nel 1935 contro le potenti Mercedes Benz e Auto Union, fu dovuto ad una debacle di gomme dei costruttori tedeschi, più che alla classe (comunque indiscussa) del ``mantovano volante''.


A questo punto bisogna tirare le somme e giungere alle conclusioni sui nuovi regolamenti della Formula 1 moderna. Senza KERS e DRS sarebbe più difficile vedere sorpassi tra piloti anche quando le differenze sui tempi sul giro sono sensibili. Se ci fossero ancora le vecchie gomme Bridgestone, che non si degradavano nemmeno dopo oltre metà corsa, la vettura più veloce sarebbe sempre in testa indisturbata e vincerebbe senza patemi. Al pubblico non resterebbe altro che sperare nella pioggia per divertirsi. Per quanto discusse, le nuove gomme Pirelli introducono la variabile del degrado, che varia da circuito a circuito e da monoposto a monoposto. Nel recente passato, abbiamo visto outsider vincere come Olivier Panis con la Ligier (Monaco 1996), Johnny Herbert con la Stewart (Nurburgring 1999), Giancarlo Fisichella con la Jordan (Interlagos 2003) e Jenson Button con la Honda (Budapest 2006), ma sempre in condizioni di gara bagnata. Vedere una prestazione esaltante da parte di una monoposto non di primo piano come quella di Pastor Maldonado sulla Williams attuale è qualcosa di eccezionale.  Considerato il potenziale della vettura inferiore a quello di Red Bull, McLaren, Mercedes, Lotus, Ferrari e forse Sauber, per vedere un analogo trionfo così netto sull'asciutto bisogna andare indietro nel tempo oltre il successo di Heinz Harald Frentzen con la Jordan a Monza 1999 (propiziato dall'erroraccio di Mika Hakkinen con la McLaren) e quello suddetto di Berger in Messico nel 1986. Una vittoria così a sorpresa non la si vede sin dal 5 Giugno 1983, quando la modesta Tyrrell di Michele Alboreto si fece beffa delle varie Ferrari, Renault e Brabham, trionfando sulle stradine della ``motor city''. Sono passati quasi trent'anni e i nostalgici possono finalmente smettere di rimpiangere il passato per godersi il presente. E il merito è delle gomme.


martedì 8 maggio 2012

NASCAR: Le lezioni di Talladega



La spettacolare gara di Talladega di domenica scorsa è stata senza dubbio la migliore corsa della stagione. Dopo settimane in cui si è parlato della mancanza di spunti di interesse dei singoli eventi e della latitanza dell'agguerrita lotta per la testa della gara che contraddistingue da sempre le gare NASCAR, la Aaron's 499 ha offerto al pubblico ciò che voleva. Poche interruzioni con la pace car (quasi tutte verso fine gara, quando i piloti non si fanno più sconti tra di loro) e tanta l'incertezza per il risultato finale. Quindi si possono trarre le seguenti conclusioni sul nuovo regolamento che riguarda le gare con strozzature a Daytona e Talladega:

1) anche se il numero di sorpassi per la testa della corsa è più che dimezzato rispetto a quelli record delle gare in tandem dello scorso anno, la corsa è stata più bella in quanto la vicinanza tra i rivali ha aumentato l'incertezza sul risultato finale.

2) i sorpassi sono stati veramente sudati e studiati, decisamente tecnici rispetto a quelli del 2011, quando le coppie di vetture si superavano con differenze enormi di velocità.

3) nonostante le 43 vetture partenti abbiamo corso ruota a ruota su tre o quattro colonne, non c'è stato il tanto temuto incidente a catena. Questo dimostra che se i piloti stanno attenti, possono concludere la corsa senza incidenti. Quindi si potrebbe dire che in occasione della Daytona 500, vista l'importanza della gara, i piloti fanno appositamente delle stupidaggini pur di superare i rivali negli ultimi giri. Ciò è dimostrato dal fatto che è dal 2004 che quella gara non si conclude in modo "normale", cioè senza transformarsi in un demolition derby.

4) raggruppare le vetture facendo uscire la pace car non per forza aumenta lo spettacolo. Infatti, a differenza del resto delle gare del 2012, la parte più interessante della corsa sono stati quei 123 giri (su 188) disputati senza interruzioni. Invece le ripartenze non hanno fatto altro che creare situazioni di pericolo e che dare l'opportunità ad alcuni outsider di tentare delle manovre azzardate.

5) accorciare le gare come fatto anni fa con Dover, poco tempo fa con Fontana e da quest'anno con Pocono (tutte gare da 500 miglia ridotte a 400) non significa avere gare più combattute. Quando i piloti hanno la possibilità di battagliare, lo fanno dal primo all'ultimo giro, sia nelle esibizioni di 50 giri come nella Coca Cola 600 (600 miglia, 966 chilometri).

mercoledì 2 maggio 2012

NASCAR: Dura lex sed lex



La gara di Kansas City di dieci giorni fa è stata così avara di emozioni che non mi ha offerto neanche uno spunto di riflessione, se non il fatto che questa strana stagione della NASCAR continua a far vedere gare senza incidenti e con pochissime neutralizzazioni. Rispetto alle gare precedenti, sia a Kansas come a Richmond sei giorni dopo, quache bandiera gialla "inventata" causa di immaginari detriti in pista c'è stata. Pur se chiamata per rendere emozionanti i finali di gara, la pace car continua a far arrabbiare i tifosi che preferiscono gare soporifere a corse falsate dalla direzione gara.

Indipendentemente da questo, la scorsa gara di Richmond si è chiusa tra le polemiche, dopo che il dominatore Carl Edwards è stato penalizzato a causa di una ripartenza anticipata verso la fine della gara. E' vero che Tony Stewart ha fatto slittare troppo le gomme ed è ripartito male, evidenziando esageratamente la ripartenza di Edwads, ma quest'ultimo effettivamente ha aperto il gas prima dei segni che si trovano all'interno della pista e che indicano dove inizia la zona di ripartenza. A niente sono servite le lamentele della squadra e del capomacchina: il pilota della Ford numero 99 ha scontato un drive through e ha perso la gara dopo aver fatto ben 206 giri su 400 in testa.

Ad infiammare le polemiche, c'è stata un ulteriore polemica sulle reali posizioni dei leader al momento della bandiera gialla che ha preceduto la fatidica ripartenza. Che in testa ci fosse Edwards o Stewart non cambia le cose: la gara è stata interrotta a causa di un detrito (non inquadrato dalla TV) che probabilmente si trovava fuori traiettoria. In questo caso non sarebbe stato meglio aspettare che tutti i piloti rifornissero per neutralizzare la corsa una volta che le posizioni fossero certe, come d'altronde è stato fatto altre volte. A complicare il tutto, ci si mettono le ripartenze su due colonne, che rendono fondamentali le ripartenze brucianti. Se ci fossero le vecchie ripartenze con i leader sulla sinistra e i doppiati a destra, ci sarebbero meno polemiche di questo tipo. Ciò non toglie che Edwards è ripartito prima del dovuto ed è stato giustamente penalizzato.

Peccato che la stessa inflessibilità mostrata dai commissari in occasione delle ripartenze e dei pit stop, non venga applicata in sede di verifica tecnica. Quando un pilota vince una gara a bordo di una vettura irregolare, la NASCAR penalizza il pilota e il team in campionato ed applica salatissime multe, ma la vittoria in sè non viene tolta. L'ultima volta in cui un pilota ha vinto ed è stato penalizzato è stata a Talladega, nel 2008, quando Regan Smith passò per primo davanti a Stewart superandolo sotto la linea gialla. Smith venne classificato ultimo tra i piloti a pieni giri e Stewart vinse. Per trovare un caso simile, bisogna andare indietro fino al 1991, quando Ricky Rudd venne classificato secondo nonostante avesse vinto poichè aveva mandato in testacoda Davey Allison, dichiarato poi vincitore. Se parliamo di squalifiche strettamente tecniche e non sportive, ci si perde nei ricordi fino al 1973, quando a Talladega venne squalificato Charlie Glotzbach a causa di una strozzatura del motore non conforme. L'anno dopo ad Ontario, vennero trovate delle valvole irregolari sul motore del vincitore Bobby Allison, ma la NASCAR si limitò a multare la squadra, riconoscendo la vittoria e i punti ottenuti dal pilota. Da quella volta in poi, ogni volta che la vettura del vincitore è risultata irregolare, la vittoria non è mai stata tolta, anche se sono state applicate multe salate e penalizzazioni in punti che addirittura fecero perdere un campionato a Mark Martin nel 1990.

"Dura lex, sed lex" dice il proverbio, ma nella NASCAR vale solo (e non sempre) per gli aspetti sportivi, un po' meno per quelli tecnici.

martedì 17 aprile 2012

NASCAR: Più sport con meno gialle




Il tema ricorrente nelle discussioni del lunedì tra gli appassionati di motori americani riguardava l'ottimo spettacolo offerto su entrambe le rive dell'oceano Pacifico, sia di primissima mattina con il Gran Premio di Cina di Formula 1, sia al pomeriggio con il Gran Premio di Long Beach della IndyCar. Due gare con duelli ruota ruota, sorpassi e staccate a ruote fumanti. I grandi appassionati della NASCAR aggiungevano alla discussione la bellissima corsa della Camping World Truck Series corsa domenica sul tracciato di Rockingham, abbandonato dall'allora Nextel Cup dopo l'anno 2004.
Molti hanno sottolineato come la gara della Sprint Cup a Forth Worth sia stata piuttosto lineare e scontata, nonostante si corresse su un tracciato velocissimo, dove spesso ci sono stati eventi degni da essere ricordati. Quello che ha colpito di più, è stata ancora una volta il numero esiguo (due in questo caso) di bandiere gialle viste durante la gara. Una a causa di un cappellino in pista dopo 67 giri di corsa e poco dopo un'altra a causa di un leggero contatto con il muro da parte di Trevor Bayne. La cosa più curiosa è che i tifosi hanno reagito relativamente bene ad una gara piuttosto scialba. Pur ammettendo di essersi addormentati davanti alla TV, praticamente tutti hanno fatto i propri complimenti alla NASCAR per aver lasciato i concorrenti battersi liberamente senza condizionare la corsa con un intervento della pace car per ricompattare il gruppo, sottolineando come il risultato sia stato così quanto di più sportivo poteva essere. E pensare che qualche pretesto per interrompere la gara poteva esserci, come quando Juan Pablo Montoya è passato sopra una bottiglietta d'acqua piena, facendola scoppiare nell'impatto. E' stato grazie a quella serie incredibile di 234 giri finali consecutivi che Greg Biffle ha avuto la meglio sul dominatore Jimmie Johnson, che tranquillamente avrebbe potuto ottimizzare l'assetto della propria vettura approfittando di una neutralizzazione, come molto volte successo in passato. E' un tema sul quale abbiamo espresso le nostre opinioni diverse volte negli ultimi tre anni e sul quale siamo ritornati ciclicamente. Probabilmente chi regge la NASCAR non legge questo blog, ma di sicuro ha capito il nostro punto di vista. E noi (e non solo) ringraziamo.

mercoledì 4 aprile 2012

NASCAR Martinsville: finale col botto!



L'eclatante e scoppiettante epilogo della scorsa gara di Martinsville ha offerto la possibilità di riflettere attentamente sui contenuti sportivi di questo evento. Davanti ai giornalisti che lo intervistavano, il vincitore Ryan Newman dimostrava tanti meriti quanto il polesitter del Shootout di Daytona. Dopo oltre 300 giri in testa, Jeff Gordon aveva dovuto cedere il comando al compagno di squadra Jimmie Johnson. La corsa era agli sgoccioli e Gordon rimontava in maniera sensazionale su Johnson, superandolo con soli tre giri da compiere. Tutti ci aspettavamo sei curve con i due appaiati, sportellandosi pur rispettandosi, duellando fino alla bandiera a scacchi, ma le cose sono andate diversamente. Tutta colpa di David Reutimann, fermo in mezzo al rettilineo dei box, che causava l'inevitabile entrata della pace car e il finale con la regola del green-white-checkered. Con soli due tornate da portare a termine, la gara è ripartita con Gordon e Johnson pronti a darsele di santa ragione, ma da dietro è arrivato Clint Bowyer, catapultatosi in avanti come se a spingerlo fosse un razzo per arrivare alla luna. Bowyer ha battuto Gordon all'interno che a sua volta è finito addosso a Johnson. Gara rovinata per tutti e tre e vittoria regalata a Newman. Buona parte dei tifosi considera Bowyer copevole di una stupida manovra disperata fatta all'ultimo momento. Altri credono che abbia fatto bene a provarci, visto che aveva gomme fresche rispetto ai primi due, e che al massimo poteva aspettare fino alla curva 3 per superarli. Altri ancora se la prendono con Reutimann, colpevole di aver mollato la propria vettura in una parte qualsiasi della pista, quando i soli 826 metri del tracciato della Virginia consentono a chiunque di rientrare velocemente ai box. Questi sono solo pareri. Quello che si può affermare è che senza la regola del green-white-checkered ci sarebbe stato un ordine di arrivo più veritiero rispetto ai valori visti in campo, quindi un risultato più sportivo. Con le regole in vigore fino al 2004, la classifica sarebbe stata congelata al momento dell'esposizione della bandiera gialla, con Gordon che aveva appena superato Johnson, e gli ultimi tre giri si sarebbero disputati in regime di bandiera gialla fino all'esposizione di quella a scacchi. A quei tempi si cercava di far concludere le gare in regime di corsa aperta esponendo la bandiera rossa a pochi giri dal termine (non meno di cinque a causa della procedura di ripartenza) nel caso ci fosse un incidente, ma nulla si poteva fare se c'erano inconvenienti nelle ultimissime tornate. Fu il pubblico stesso a protestare contro questa situazione, quando nella gara di primavera del 2004 ci fu un incidente a tre giri dalla fine proprio un instante prima che il favorito del pubblico Dale Earnhardt Jr. superasse Jeff Gordon in testa alla gara. Gordn vinse in mezzo a migliaia di bicchieri e lattine di birra che il pubblico gettò in pista. La NASCAR corse ai ripari introducendo la regola del green-white-checkered nel successivo mese di Luglio, modificandola poi nel 2010 aggiungendo la novità del triplo tentativo di conclusione della gara in regime di corsa aperta. Se da una parte ora viene concessa ai piloti la possibilità di un ultimissimo duello, dall'altra si creano situazioni assurde come quella in cui un outsider tenta i tutto per tutto nei confronti dei dominatori della gara oppure quella in cui il leader indiscusso della gara rimane senza combustibile in quanto i giri extra sono diventati troppi. Di sicuro, questa volta il pubblico non può lamentarsi.

martedì 27 marzo 2012

NASCAR: il giallo delle gialle



Domenica scorsa, mentre la gara di Formula 1 a Sepang stava per partire nel tardo pomeriggio, a Fontana era appena scoccata la mezzanotte. A distanza di quasi dodici ore, è stata data la bandiera verde alla quinta gara della Sprint Cup in California. Le due gare hanno avuto la pioggia come elemento in comune ma curiosamente, le caratteristiche di entrambe le categorie si sono praticamente scambiate.

Le monoposto del circus sono partite ad un orario strano, come spesso fa la NASCAR quando si corre in serata, e ha visto una corsa con diversi stravolgimenti, interruzioni con la safety car, la bandiera rossa, protagonisti che si mettono nei guai (Button e Vettel), vetture che entrano una dietro all'altra ai box e infine un vincitore a sorpresa (Alonso) dopo un bel duello con il pilota che meno ti aspetti (Perez). Il tutto dopo quasi tre ore di corsa (il quasi è d'obbligo visto che dall'anno scorso la Formula 1 considera stupidamente come tempo di gara, anche i minuti in cui la gara viene sospesa...allora il GP del Belgio del 1985 è durato quattro mesi?!).

La NASCAR invece ha preso i panni del campionato del mondo, con posizioni ben definite sin dalla partenza, con vetture ben distanziate tra di loro, un pilota (Stewart) capace di tenere saldamente il miglior ritmo in gara e le uniche emozioni che vengono dalle fermate ai box, unica occasione per vedere cambiare il leader della gara. Il tutto in un'oretta e mezza di corsa.

Le cose non stanno proprio così. La Formula 1 ha fatto vedere una bellissima corsa, grazie alla pioggia, che mette in forse qualsiasi dominio tecnico e che crea situazioni non controllabili alle sofisticatissime tecnologie della categoria. La NASCAR d'altronde, non è che abbia offerto una gara così noiosa. Le stock car hanno girato a lungo in regime di bandiera verde, mettendo in crisi più di un team, sia per quanto riguarda l'affidabilità (a Johnson poteva andare malissimo con quella perdita d'olio), con in motori sotto stress senza interruzioni, ma soprattutto ai team, che non hanno potuto approfittare delle neutralizzazioni per ottimizzare il setup delle vetture e che hanno pagato a caro prezzo gli errori durante le fermate.

Siamo certi che se a Fontana ci fosse stato un Sole splendente, la gara sarebbe andata diversamente. La NASCAR non ci avrebbe pensato un secondo a far scendere la pace car per compattare il gruppo e tentare di vedere qualche finto sorpasso in ripartenza. Ci avrebbero fatto credere che qualche carta proveniente da un hot dog fosse un lamierino di metallo, che qualche detrito di gomma potesse causare forature. Invece la NASCAR non voleva interrompere la gara in quanto la pioggia si avvicinava alla pista, e un'interruzione prima di metà gara avrebbe costretto tutti a ripartire lunedì. Abbiamo visto tutti in TV dei detriti di gomma in pista, che in altre occasione avrebbero richiamato la pace car in azione. Per quanto a colpo d'occhio possa essere sembrata una gara noiosa, molti appassionati della NASCAR hanno apprezzato questa corsa e il comportamento corretto da parte dei direttori di gara. Peccato che tutti siano convinti che questo atteggiamento non si vedrà ancora se non ci sarà la minaccia di dover rimandare tutto al giorno dopo.
Aldo Canzian

martedì 20 marzo 2012

Bristol: Racing southern style!


Domenica scorsa, il "Colosseo delle Corse" di Bristol non era pieno come successo per oltre venticinque anni di fila. Un terzo degli spalti erano vuoti, ma c'è da dire che 106.000 spettatori non sono un brutto risultato per questi tempi, anche se non sono i 160.000 di una volta. Lo spettacolo in pista invece è rimasto lo stesso come da sempre accade sugli 858 metri del tracciato. E non mi riferisco solo alla gara stessa, ma all'aria dal sapore antico e piena di fascino che si respira da queste parti. Per quanto si tratti di una una gara storica, la 500 miglia di Daytona resta un evento mediatico, dove metà dei telespettatori difficilmente si godrà un'altra gara della categoria durante l'anno. La corsa di Phoenix è molto piacevole dal punto di vista tecnico,a si tratta pur sempre di un evento relativamente recente per la NASCAR. Invece a Las Vegas, l'atmosfera è tragicamente piatta, a dispetto dell'inclinazione della pista, nonostante un città che di fascino ne ha da vendere. Si tratta di un tracciato che di fantasia ne ha tanto quanto una pentola di acqua per la pasta.
Bristol invece offre ancora quelle gare che gli appassionati più anziani ci raccontano come appartenenti ad un era passata, rimpianta e nostalgicamente ricordata. Nel Tennesse, le corse si fanno alla vecchia maniera, così come il whiskey. Capita di vedere macchine incidentate che fanno più giri possibili per recuperare qualche punto nonostante la giornata sbagliata. E' così che Kyle Busch si è fatto un intero pomeriggio senza il muso. Allo stesso modo, Kasey Kahne ha girato con il numero "dipinto" con del nastro e Jeff Gordon senza carrozzeria posteriore. E' una pista dove chi si trova al comando, può perdere terreno appena una nuvola se sposta facendo passare o meno i raggi del Sole, come successo a Greg Biffle e A.J.Allmendinger. Capita pure che il campione in carica Tony Stewart non ne azzecchi una e finisca contro il muro o che due compagni di squadra come Gordon ed Earnhardt Jr. si diano ruotate finchè uno dei due non si schianti. Inoltre abbiamo assistito al rientro di un pilota come Brian Vickers, che si è inserito in testa come se nulla fosse.

Queste cose fanno parte del DNA della NASCAR quando la maggior parte delle gare si correva su short track in terra battura, ma ormai la NASCAR non corre sui tracciati sterrati da 42 anni. Fino al 1984, dieci delle ventotto corse del calendario si disputavano su circuiti corti, ma dal 1997 ne sono rimaste solo sei. Nonostante ciò, questa componente è tuttora presente nella Sprint Cup. Di sicuro bisogna ringraziare la NASCAR stessa, che contrariamente a quanto fatto negli ultimi anni, ha utilizzato le bandiere gialle il minimo indispensabile. Era dal 1996 che non c'erano solo cinque neutralizzazioni a Bristol e per trovarne di meno bisogna andare addirittura al 1983. Di certo, la gara non visto così tanti sorpassi in testa alla gara ma la sfida vista in pista è stata al cento per cento autentica. Oltre duecento giri consecutivi senza pace car, piloti che venivano doppiati di continui, altri in crisi con le gomme, pit stop in regime di corsa aperta...di certo, la migliore gara della stagione. Speriamo che la conduzione delle prossime corse sia ancora così, perchè in caso positivo, ci divertiremo a lungo.

Aldo Canzian

martedì 13 marzo 2012

NASCAR 2012: Tre gare, qualche indizio




Tre gare su trentasei corrispondono alla dodicesima parte del campionato della NASCAR Sprint Cup. Di sicuro è presto per fare bilanci ed esprimere bilanci (e saremo folli a volerlo fare), ma è pur vero che l'andazzo della stagione, soprattutto quando va male, si vede sin dalle prime gare.
Non è che incappare in tre gare negative comprometta un intero campionato, ma se le cose non vanno bene da subito, o vanno proprio male, si comincia a lavorare in un clima difficile, che rende poi contorta la via del successo.

E' esattamente quello che sta succedendo ad A.J.Allmendinger al suo esordio con il team Penske. Il pilota americano è uno che ha talento da vendere e lo ha dimostrato ai tempi della CART, ma il suo passaggio precoce in NASCAR lo aveva bruciato quando correva con il team Red Bull. Passato alla corte di Richard Petty, Allmendinger è risorto, meritandosi in pieno il suo posto nella categoria e venendo poi scelto dal "Generale" Roger Penske per sostituire Kurt Busch sulla Dodge numero 22. A.J. ha iniziato la stagione con tre gare difficili e piene di guai. Risalire la china dal trentensimo posto è possibile ma pretendere di prendere il treno per il campionato è assai dura.


Curiosamente, Allmendinger viene preceduto in classifica dal pilota che ha sostituito, Kurt Busch, un altro ragazzo che ha iniziato male il 2012. Pur disponendo di una Chevrolet costruita da Hendrick, il più vecchio dei fratelli di Las Vegas corre con il modesto team Phoenix che non gli consente di puntare alla vittoria, cosa difficile per il campione 2004 che ha vinto almeno una gara in tutte le stagioni disputate dopo quella di esordio. Dopo le esperienze con i team Roush e Penske, finite entrambe con burrascosi licenziamenti, Kurt si trova nella difficile posizione di essere "retrocesso" in un team di secondo piano e di dover essere promosso tra quelli che contano.

Non se la passa bene nemmeno Kasey Kahne, neoassunto del team Hendrick. Tre gare anonime, nonostante la pole a Las Vegas, sono un brutto biglietto da visita quando si tratta di esordire nel team più ambito della categoria. In molti si aspettavano che fosse Kahne a dare il colpo di grazia a Dale Earnhardt Jr., dopo tre disastrose stagioni in questa squadra. Se Kahne fosse andato bene fin da subito, sarebbe stato chiaro che Junior era un pilota bollito non più ai livelli dei suoi anni migliori. Invece, proprio Kasey, che tanto bene aveva fatto con il team Everham al suo esordio assoluto e poi con Red Bull nell'ultima stagione di transizione, ha faticato mentre Earnhardt ha dato qualche segnale di ripresa con quella settantina di giri in testa nel Nevada.

Scalando la classifica, troviamo Jimmie Johnson al ventitresimo posto. Posizione dovuta al solo incidente di Daytona. Il cinque volte campione ha corso in maniera eccelsa nelle ultime due corse e si riprenderà presto. Pensare che il campionato sia per lui finito dopo tre corse non è da folli, è roba da chi ha perso completamente il senno.

Aldo Canzian

martedì 6 marzo 2012

NASCAR 2012: Una gara, qualche indizio



La gara di Phoenix è stata la prima corsa del campionato della SPrint Cup 2012. Avete sentito bene: si tratta della prima vera corsa del campionato in quanto la Daytona 500, pur valida ai fini della classifica, rappresenta un evento sè, dove la vittoria conta più di un titolo di campione. Questo primo vero evento della stagione ha offerto alcun spunti interessanti sui quali riflettere.
Il nostro sguardo si adagia sul vincitore Denny Hamlin, che ha ricominciato proprio da dove tutto si era fermato nell'autunno del 2010. Sul tracciato dell'Arizona, Hamlin arrivava da due vittorie nelle ultime tre gare del Chase, nel quale a sua volta aveva incominciato in testa grazie a cinque vittorie nella stagione regolare. Denny aveva la gara, e il campionato, in pugno. Sembrava che lasciasse Carl Edwards lì davanti per sfogarsi, ma che solo lui potessse vincere grazie ad una strategia quasi perfetta. Quasi, perchè Edwards ebbe abbastanza combustibile per vincere, mentre Hamlin dovette fermarsi a rifornire concludendo al dodicesimo posto. Era rimasto comunque leader del campionato, ma il fatto faceva presagire l'epilogo della stagione a Homestead, dove al termine di una gara opaca si lascio sfuggire il campionato a vantaggio di Jimmie Johnson. Dopo un difficile inizio 2011, anno in cui ha vinto soltanto una gara, condito da un Chase finito ancor prima di cominciare, Hamlin ha ripreso la via giusta per la vittoria, ottenuta giocando con il consumo di combustibile, così come aveva perso la gara del 2010. Non c'è meglio di un successo ad inizio stagione per contendersi il campionato con tutte le proprie energie. Parlando di Johnson, c'è chi diceva alla vigilia della Subway Fresh Fit 500 che se in questa corsa non fosse andato bene, il suo 2012 sarebbe già stato compromesso. Niente di più sbagliato. Il cinque volte campione ha dominato il primo terzo di gara ed è stato attardato poi da una serie di guai alle gomme. Ripartito in fondo al gruppo, ha rimontato velocemente fino alle prime posizioni concludendo al quarto posto. Mai fare i conti senza di lui. Come i vini che più invecchiano, più sono deliziosi, Mark Martin continua a mantenere il suo abituale stato di competitività nonostante siano passati oltre vent'anni da quando perse il suo primo titolo. Con una vettura non di primissimo piano (la Toyota del team Waltrip), il cinque volte "quasi-campione" ha non solo ottenuto la pole, ma viaggiato al ritmo dei migliori per tutto l'arco della gara. Se fosse stato appena più combattivo durante le ripartenze, non avrebbe faticato a giocarsi la vittoria in gara. Poichè non farà tutte le gare del campionato (al suo posto saliranno Elliott Sadler e Michael Waltrip) resta la paura che torni il rammarico vissuto in quel 2007, quando si alternava con Regan Smith sulla Chevy del team Childress. In quella stagione, Martin poteva puntare al titolo e lo dimostrò due anni più tardi, quando tornò a disputare un campionato intero. A proposito di paura, dopo lo splendido secondo posto in Florida che faceva ben sperare, Dale Earnhardt Jr. è tornato a vivere un fine settimana di completo disorientamento a Phoenix. Ventinovesimo in qualifica, oltre la ventesima posizione per tutta la gara e fortunatamente quattordicesimo sul traguardo grazie ai guai altrui. E pensare che si correva su una pista dove ha vinto due volte. Con gare come questa, Junior tornerà a fare un campionato disastroso come quelli del 2009 e 2010. Se gli alti e bassi continueranno, al massimo potrà qualificarsi al Chase ma non sarà mai in grado di lottare per la vittoria finale. Sono passati otto anni da quando Earnhardt era un vero protagonista della NASCAR, pilota vincente nel quali tutti vedevano un campione del futuro. In ogni modo, una gara (o due contando Daytona) è poca roba per poter definire la competitività dei vari protagonisti della stagione. Con le prossime gare a Las Vegas e Bristol, la categoria visiterà altri due tipi di tracciato e le idee potranno essere più chiare. In ogni caso, per sapere chi è il campione 2012, restano ben trentaquattro corse.

Aldo Canzian

giovedì 1 marzo 2012

Daytona 500: tante aspettive, poca sostanza


La Daytona 500 del 2012 non passerà sicuramente alla storia come una delle più belle di sempre, anche se verrà ricordata per alcune curiosità ed eventi bizzarri che l'hanno caratterizzata. Prima un temporale rinvia la gara a lunedì, poi lo stesso fa slittare la partenza verso sera e infine uno stranissimo incidente in cui Juan Pablo Montoya investe uno dei mezzi di soccorso crea un incendio che interrompe la corsa per oltre due ore, con la bandiera a scacchi che viene data finalmente dopo mezzanotte, quando ormai siamo al martedì. Questi inconvenienti, altri incidenti e alcuni sorpassi non hanno fornito uno spettacolo all'altezza delle aspettative, che per questa gara sono davvero alte, sia per l'evento in sè che per il fatto che si tratta della prima corsa della stagione. L'emblema di tale sensazione è il finale di gara, con Greg Biffle che si tiene in scia a Matt Kenseth senza tentare il sorpasso, con Dale Earnhardt Jr. che prova una manovra impossibile da dietro e coglie il secondo posto. Per alcuni, Biffle è stato troppo rinunciatario, per altri ha fatto bene a coprire le spalle del compagno di squadra. Se avesse provato ad attaccarlo, forse avrebbe favorito Junior e compromesso il successo della squadra.

Insomma, poca roba rispetto ai settantaquattro sorpassi in testa alla gara dello scorso anno con la vittoria a sorpresa dell'esordiente Trevor Bayne, nonostante la bruttezza delle gare in tandem. Di certo, gli ultimi dieci anni non hanno portato granchè di bene alla Daytona 500. Nelle prime quarantaquattro edizione di questa gara, c'erano state solo due gare concluse in anticipo a causa della pioggia e una ridotta sulla distanza del dieci per cento ai tempi della crisi del petroleo. Nell'ultimo decennio, ci sono state due corse accorciate per il maltempo, oltre a questa, rinviata per la prima volta a causa della pioggia. Ci sono state inoltre due edizioni che hanno subito delle pause enormi: nel 2010 a causa della famosa buca creatasi sull'asfalto e quella di domenica, sospesa per placare l'inferno scatenato dal botto di Montoya contro la turbina che serve a pulire la pista. Per concludere, da quando esiste la regola del fine gara in regime di corsa aperta (il cosidetto green-white-chekered), solo una gara si è conclusa sulla distanza prefissata. Le altre sono state allungate in media di quattro giri, con il finale di gara che si converte in un vero e proprio demolition derby, con una media di quattro neutralizzazioni negli ultimi venti giri, dove tutti i piloti tentano manovre impossibili e l'aspetto sportivo va a farsi benedire.

Quindi non resta che ricordare lo spaventoso botto di Montoya, che perso il controllo della sua Chevy a causa della trasmissione bloccata, è finito contro la turbina del mezzo che puliva la pista. Ben duecento galloni (più di 750 litri) di jet fuel sono stati riversati sull'asfalto creando un tremendo incidendio. E pensare che tali mezzi sono stati introdotti dopo la gara di Michigan del 1969, quando si schiantò un elicottero che volava a basssissima quota (una consuetudine al tempo per asciugare la pista). Non ci si ricordava di un incidente così bizzarro dai tempi in cui Mario Andretti, prima, e il figlio Michael poi, si schiantarono a Detroit nel 1991 contro il mezzo che rimorchiava la vettura ferma di Dennis Vitolo durante una neutralizzazione. Proprio Andretti senior era stato protagonista di un curioso incidente due anni prima a Toronto, schiantandosi contro la March-ALFA Romeo ferma di Roberto Guerrero (ai tempi in cui si lasciavano le vetture ritirate a bordo pista), mentre tentava di superare la March-Porsche di Teo Fabi.

Gli incidenti tra vetture in corsa e mezzi di soccorso sono tutt'altro che rari. Nel 1999 a Forth Worth, Donnie Beechler venne travolto dalla pace car, privandolo dal suo miglior risultato in carriera. Da questa parte dell'oceano, tutti ricordiamo l'incidente di Franz Engstler con la safety car a Pau nella gara del WTCC de 2009. Andò peggio a Takachiho Inoue, quando nel GP di Ungheria del 1995 scese dalla sua Arrows con il motore in fumo e venne investito da una macchina dei commissari, prendendosi una brutta botta alle gambe. Nel 2002, Nick Heidfeld se la vide veramente brutta in Brasile. A causa dell'incidente della Arrows di Enrique Beroldi nel warm up, la medical car entrò in pista e appena si fermò sul luogo dell'incidente, il pilota Alex Diaz Ribeiro (ex pilota di F1 e F2) aprì la portiera proprio mentre sopraggiungeva il pilota tedesco. La Sauber di Heidefeld piegò la portiera della Mercedes Benz, ma per questione di decimi di secondi, si evitò un brutto incidente.

Altri incidenti bizzarri, sono quelli tra le vetture in corsa e sventurati animali che tagliano loro la strada. E' recente (2008), il ritiro di Brunno Senna nella gara di Istabul di GP2 dopo uno schianto contro un cane. Stessa cosa successe a Oscar Aventìn nel 1990 a Junin durante una gara di Turismo Carretera su strade aperte. Tremenda fu l'impatto tra la McLaren di Stefan Johnansson e un cerviatto nel 1987 a Zeltweg. Sempre un cervo attraversò la strada a Neil Bonnett a Pocono nel 1984. Eddie Irvine invece fece fuori un coniglio a Silversone nel 1997.

Comunque, le storie più bizzarre della storia delle corse, arrivano dalla NASCAR. Nel 1966 a Fonda, andò in testacoda mentre era in testa. Poichè il piccolo ovale di Fonda non aveva muri di contenimento a bordo pista, la vettura di Putney scalò la curva sopraelevata uscendo dal circuito. Il pilota riescì a riprendere la vettura e percorrere una stradina vicina al canale Erie passando attraverso un cimitero per rientrare in pista. Il rientro fu perpendicolare al senso di marcia delle altre vetture e Putney venne centrato da Tiny Lund, Bobby Allison e Lyle Stetler. L'assurda manovra fece infuriare Lund che lo colpì Putney in faccia stendendolo a terra.

Il 1953 fu un anno particolare per Tim Flock, che inizio a correre con una scimmia, nota come Jock Flocko, come copilota. Un modo strano di farsi pubblicità. A Raleigh, la scimmia riuscì a slegarsi dalle cinture di sicurezza e aprì il coperchio del passaruota (utilizzato al tempo dai piloti per verificare il consumo delle gomme in gara). Un sasso entrò e colpì l'animale in testa, che impazzì e attaccò il pilota. Flock dovette fermarsi in tutta fretta ai box per togliere la scimmia dall'abitacolo. Qualche gara dopo, a Spartanburg, Flock si riposava tranquillamente dentro la sua macchina nella zona interna della pista quando un'altra macchina gli piombò addosso ferendolo.

La storia più bizzarra della storia della NASCAR risale al 1961 e successe sult traccaito di Weaverville. La gara venne sospesa poco dopo la metà della distanza prevista a causa del deterioro del manto stradale. Bunk Moore prese una buca troppo grande e perse il controllo della vettura finendo contro le postazioni dei box ferendo alcuni spettatori. Quando la gara fu interrotta, i tifosi invasero la pista scatenando una rissa, in quanto arrabbiati per l'interruzione, e presero in ostaggio i piloti per quattro ore. Ned Jarrett e Bud Moore (il team manager di Joe Weatherly) reascirono agggredendo violentemente uno dei capi della sommossa. Con questo metodo molto ortodosso, i rivoltosi se ne tornarono a casa. Cose d'altri tempi. Speriamo che il 2012 ci offra meno storie bizzarre e curiose e più competizione in pista.