martedì 27 marzo 2012

NASCAR: il giallo delle gialle



Domenica scorsa, mentre la gara di Formula 1 a Sepang stava per partire nel tardo pomeriggio, a Fontana era appena scoccata la mezzanotte. A distanza di quasi dodici ore, è stata data la bandiera verde alla quinta gara della Sprint Cup in California. Le due gare hanno avuto la pioggia come elemento in comune ma curiosamente, le caratteristiche di entrambe le categorie si sono praticamente scambiate.

Le monoposto del circus sono partite ad un orario strano, come spesso fa la NASCAR quando si corre in serata, e ha visto una corsa con diversi stravolgimenti, interruzioni con la safety car, la bandiera rossa, protagonisti che si mettono nei guai (Button e Vettel), vetture che entrano una dietro all'altra ai box e infine un vincitore a sorpresa (Alonso) dopo un bel duello con il pilota che meno ti aspetti (Perez). Il tutto dopo quasi tre ore di corsa (il quasi è d'obbligo visto che dall'anno scorso la Formula 1 considera stupidamente come tempo di gara, anche i minuti in cui la gara viene sospesa...allora il GP del Belgio del 1985 è durato quattro mesi?!).

La NASCAR invece ha preso i panni del campionato del mondo, con posizioni ben definite sin dalla partenza, con vetture ben distanziate tra di loro, un pilota (Stewart) capace di tenere saldamente il miglior ritmo in gara e le uniche emozioni che vengono dalle fermate ai box, unica occasione per vedere cambiare il leader della gara. Il tutto in un'oretta e mezza di corsa.

Le cose non stanno proprio così. La Formula 1 ha fatto vedere una bellissima corsa, grazie alla pioggia, che mette in forse qualsiasi dominio tecnico e che crea situazioni non controllabili alle sofisticatissime tecnologie della categoria. La NASCAR d'altronde, non è che abbia offerto una gara così noiosa. Le stock car hanno girato a lungo in regime di bandiera verde, mettendo in crisi più di un team, sia per quanto riguarda l'affidabilità (a Johnson poteva andare malissimo con quella perdita d'olio), con in motori sotto stress senza interruzioni, ma soprattutto ai team, che non hanno potuto approfittare delle neutralizzazioni per ottimizzare il setup delle vetture e che hanno pagato a caro prezzo gli errori durante le fermate.

Siamo certi che se a Fontana ci fosse stato un Sole splendente, la gara sarebbe andata diversamente. La NASCAR non ci avrebbe pensato un secondo a far scendere la pace car per compattare il gruppo e tentare di vedere qualche finto sorpasso in ripartenza. Ci avrebbero fatto credere che qualche carta proveniente da un hot dog fosse un lamierino di metallo, che qualche detrito di gomma potesse causare forature. Invece la NASCAR non voleva interrompere la gara in quanto la pioggia si avvicinava alla pista, e un'interruzione prima di metà gara avrebbe costretto tutti a ripartire lunedì. Abbiamo visto tutti in TV dei detriti di gomma in pista, che in altre occasione avrebbero richiamato la pace car in azione. Per quanto a colpo d'occhio possa essere sembrata una gara noiosa, molti appassionati della NASCAR hanno apprezzato questa corsa e il comportamento corretto da parte dei direttori di gara. Peccato che tutti siano convinti che questo atteggiamento non si vedrà ancora se non ci sarà la minaccia di dover rimandare tutto al giorno dopo.
Aldo Canzian

martedì 20 marzo 2012

Bristol: Racing southern style!


Domenica scorsa, il "Colosseo delle Corse" di Bristol non era pieno come successo per oltre venticinque anni di fila. Un terzo degli spalti erano vuoti, ma c'è da dire che 106.000 spettatori non sono un brutto risultato per questi tempi, anche se non sono i 160.000 di una volta. Lo spettacolo in pista invece è rimasto lo stesso come da sempre accade sugli 858 metri del tracciato. E non mi riferisco solo alla gara stessa, ma all'aria dal sapore antico e piena di fascino che si respira da queste parti. Per quanto si tratti di una una gara storica, la 500 miglia di Daytona resta un evento mediatico, dove metà dei telespettatori difficilmente si godrà un'altra gara della categoria durante l'anno. La corsa di Phoenix è molto piacevole dal punto di vista tecnico,a si tratta pur sempre di un evento relativamente recente per la NASCAR. Invece a Las Vegas, l'atmosfera è tragicamente piatta, a dispetto dell'inclinazione della pista, nonostante un città che di fascino ne ha da vendere. Si tratta di un tracciato che di fantasia ne ha tanto quanto una pentola di acqua per la pasta.
Bristol invece offre ancora quelle gare che gli appassionati più anziani ci raccontano come appartenenti ad un era passata, rimpianta e nostalgicamente ricordata. Nel Tennesse, le corse si fanno alla vecchia maniera, così come il whiskey. Capita di vedere macchine incidentate che fanno più giri possibili per recuperare qualche punto nonostante la giornata sbagliata. E' così che Kyle Busch si è fatto un intero pomeriggio senza il muso. Allo stesso modo, Kasey Kahne ha girato con il numero "dipinto" con del nastro e Jeff Gordon senza carrozzeria posteriore. E' una pista dove chi si trova al comando, può perdere terreno appena una nuvola se sposta facendo passare o meno i raggi del Sole, come successo a Greg Biffle e A.J.Allmendinger. Capita pure che il campione in carica Tony Stewart non ne azzecchi una e finisca contro il muro o che due compagni di squadra come Gordon ed Earnhardt Jr. si diano ruotate finchè uno dei due non si schianti. Inoltre abbiamo assistito al rientro di un pilota come Brian Vickers, che si è inserito in testa come se nulla fosse.

Queste cose fanno parte del DNA della NASCAR quando la maggior parte delle gare si correva su short track in terra battura, ma ormai la NASCAR non corre sui tracciati sterrati da 42 anni. Fino al 1984, dieci delle ventotto corse del calendario si disputavano su circuiti corti, ma dal 1997 ne sono rimaste solo sei. Nonostante ciò, questa componente è tuttora presente nella Sprint Cup. Di sicuro bisogna ringraziare la NASCAR stessa, che contrariamente a quanto fatto negli ultimi anni, ha utilizzato le bandiere gialle il minimo indispensabile. Era dal 1996 che non c'erano solo cinque neutralizzazioni a Bristol e per trovarne di meno bisogna andare addirittura al 1983. Di certo, la gara non visto così tanti sorpassi in testa alla gara ma la sfida vista in pista è stata al cento per cento autentica. Oltre duecento giri consecutivi senza pace car, piloti che venivano doppiati di continui, altri in crisi con le gomme, pit stop in regime di corsa aperta...di certo, la migliore gara della stagione. Speriamo che la conduzione delle prossime corse sia ancora così, perchè in caso positivo, ci divertiremo a lungo.

Aldo Canzian

martedì 13 marzo 2012

NASCAR 2012: Tre gare, qualche indizio




Tre gare su trentasei corrispondono alla dodicesima parte del campionato della NASCAR Sprint Cup. Di sicuro è presto per fare bilanci ed esprimere bilanci (e saremo folli a volerlo fare), ma è pur vero che l'andazzo della stagione, soprattutto quando va male, si vede sin dalle prime gare.
Non è che incappare in tre gare negative comprometta un intero campionato, ma se le cose non vanno bene da subito, o vanno proprio male, si comincia a lavorare in un clima difficile, che rende poi contorta la via del successo.

E' esattamente quello che sta succedendo ad A.J.Allmendinger al suo esordio con il team Penske. Il pilota americano è uno che ha talento da vendere e lo ha dimostrato ai tempi della CART, ma il suo passaggio precoce in NASCAR lo aveva bruciato quando correva con il team Red Bull. Passato alla corte di Richard Petty, Allmendinger è risorto, meritandosi in pieno il suo posto nella categoria e venendo poi scelto dal "Generale" Roger Penske per sostituire Kurt Busch sulla Dodge numero 22. A.J. ha iniziato la stagione con tre gare difficili e piene di guai. Risalire la china dal trentensimo posto è possibile ma pretendere di prendere il treno per il campionato è assai dura.


Curiosamente, Allmendinger viene preceduto in classifica dal pilota che ha sostituito, Kurt Busch, un altro ragazzo che ha iniziato male il 2012. Pur disponendo di una Chevrolet costruita da Hendrick, il più vecchio dei fratelli di Las Vegas corre con il modesto team Phoenix che non gli consente di puntare alla vittoria, cosa difficile per il campione 2004 che ha vinto almeno una gara in tutte le stagioni disputate dopo quella di esordio. Dopo le esperienze con i team Roush e Penske, finite entrambe con burrascosi licenziamenti, Kurt si trova nella difficile posizione di essere "retrocesso" in un team di secondo piano e di dover essere promosso tra quelli che contano.

Non se la passa bene nemmeno Kasey Kahne, neoassunto del team Hendrick. Tre gare anonime, nonostante la pole a Las Vegas, sono un brutto biglietto da visita quando si tratta di esordire nel team più ambito della categoria. In molti si aspettavano che fosse Kahne a dare il colpo di grazia a Dale Earnhardt Jr., dopo tre disastrose stagioni in questa squadra. Se Kahne fosse andato bene fin da subito, sarebbe stato chiaro che Junior era un pilota bollito non più ai livelli dei suoi anni migliori. Invece, proprio Kasey, che tanto bene aveva fatto con il team Everham al suo esordio assoluto e poi con Red Bull nell'ultima stagione di transizione, ha faticato mentre Earnhardt ha dato qualche segnale di ripresa con quella settantina di giri in testa nel Nevada.

Scalando la classifica, troviamo Jimmie Johnson al ventitresimo posto. Posizione dovuta al solo incidente di Daytona. Il cinque volte campione ha corso in maniera eccelsa nelle ultime due corse e si riprenderà presto. Pensare che il campionato sia per lui finito dopo tre corse non è da folli, è roba da chi ha perso completamente il senno.

Aldo Canzian

martedì 6 marzo 2012

NASCAR 2012: Una gara, qualche indizio



La gara di Phoenix è stata la prima corsa del campionato della SPrint Cup 2012. Avete sentito bene: si tratta della prima vera corsa del campionato in quanto la Daytona 500, pur valida ai fini della classifica, rappresenta un evento sè, dove la vittoria conta più di un titolo di campione. Questo primo vero evento della stagione ha offerto alcun spunti interessanti sui quali riflettere.
Il nostro sguardo si adagia sul vincitore Denny Hamlin, che ha ricominciato proprio da dove tutto si era fermato nell'autunno del 2010. Sul tracciato dell'Arizona, Hamlin arrivava da due vittorie nelle ultime tre gare del Chase, nel quale a sua volta aveva incominciato in testa grazie a cinque vittorie nella stagione regolare. Denny aveva la gara, e il campionato, in pugno. Sembrava che lasciasse Carl Edwards lì davanti per sfogarsi, ma che solo lui potessse vincere grazie ad una strategia quasi perfetta. Quasi, perchè Edwards ebbe abbastanza combustibile per vincere, mentre Hamlin dovette fermarsi a rifornire concludendo al dodicesimo posto. Era rimasto comunque leader del campionato, ma il fatto faceva presagire l'epilogo della stagione a Homestead, dove al termine di una gara opaca si lascio sfuggire il campionato a vantaggio di Jimmie Johnson. Dopo un difficile inizio 2011, anno in cui ha vinto soltanto una gara, condito da un Chase finito ancor prima di cominciare, Hamlin ha ripreso la via giusta per la vittoria, ottenuta giocando con il consumo di combustibile, così come aveva perso la gara del 2010. Non c'è meglio di un successo ad inizio stagione per contendersi il campionato con tutte le proprie energie. Parlando di Johnson, c'è chi diceva alla vigilia della Subway Fresh Fit 500 che se in questa corsa non fosse andato bene, il suo 2012 sarebbe già stato compromesso. Niente di più sbagliato. Il cinque volte campione ha dominato il primo terzo di gara ed è stato attardato poi da una serie di guai alle gomme. Ripartito in fondo al gruppo, ha rimontato velocemente fino alle prime posizioni concludendo al quarto posto. Mai fare i conti senza di lui. Come i vini che più invecchiano, più sono deliziosi, Mark Martin continua a mantenere il suo abituale stato di competitività nonostante siano passati oltre vent'anni da quando perse il suo primo titolo. Con una vettura non di primissimo piano (la Toyota del team Waltrip), il cinque volte "quasi-campione" ha non solo ottenuto la pole, ma viaggiato al ritmo dei migliori per tutto l'arco della gara. Se fosse stato appena più combattivo durante le ripartenze, non avrebbe faticato a giocarsi la vittoria in gara. Poichè non farà tutte le gare del campionato (al suo posto saliranno Elliott Sadler e Michael Waltrip) resta la paura che torni il rammarico vissuto in quel 2007, quando si alternava con Regan Smith sulla Chevy del team Childress. In quella stagione, Martin poteva puntare al titolo e lo dimostrò due anni più tardi, quando tornò a disputare un campionato intero. A proposito di paura, dopo lo splendido secondo posto in Florida che faceva ben sperare, Dale Earnhardt Jr. è tornato a vivere un fine settimana di completo disorientamento a Phoenix. Ventinovesimo in qualifica, oltre la ventesima posizione per tutta la gara e fortunatamente quattordicesimo sul traguardo grazie ai guai altrui. E pensare che si correva su una pista dove ha vinto due volte. Con gare come questa, Junior tornerà a fare un campionato disastroso come quelli del 2009 e 2010. Se gli alti e bassi continueranno, al massimo potrà qualificarsi al Chase ma non sarà mai in grado di lottare per la vittoria finale. Sono passati otto anni da quando Earnhardt era un vero protagonista della NASCAR, pilota vincente nel quali tutti vedevano un campione del futuro. In ogni modo, una gara (o due contando Daytona) è poca roba per poter definire la competitività dei vari protagonisti della stagione. Con le prossime gare a Las Vegas e Bristol, la categoria visiterà altri due tipi di tracciato e le idee potranno essere più chiare. In ogni caso, per sapere chi è il campione 2012, restano ben trentaquattro corse.

Aldo Canzian

giovedì 1 marzo 2012

Daytona 500: tante aspettive, poca sostanza


La Daytona 500 del 2012 non passerà sicuramente alla storia come una delle più belle di sempre, anche se verrà ricordata per alcune curiosità ed eventi bizzarri che l'hanno caratterizzata. Prima un temporale rinvia la gara a lunedì, poi lo stesso fa slittare la partenza verso sera e infine uno stranissimo incidente in cui Juan Pablo Montoya investe uno dei mezzi di soccorso crea un incendio che interrompe la corsa per oltre due ore, con la bandiera a scacchi che viene data finalmente dopo mezzanotte, quando ormai siamo al martedì. Questi inconvenienti, altri incidenti e alcuni sorpassi non hanno fornito uno spettacolo all'altezza delle aspettative, che per questa gara sono davvero alte, sia per l'evento in sè che per il fatto che si tratta della prima corsa della stagione. L'emblema di tale sensazione è il finale di gara, con Greg Biffle che si tiene in scia a Matt Kenseth senza tentare il sorpasso, con Dale Earnhardt Jr. che prova una manovra impossibile da dietro e coglie il secondo posto. Per alcuni, Biffle è stato troppo rinunciatario, per altri ha fatto bene a coprire le spalle del compagno di squadra. Se avesse provato ad attaccarlo, forse avrebbe favorito Junior e compromesso il successo della squadra.

Insomma, poca roba rispetto ai settantaquattro sorpassi in testa alla gara dello scorso anno con la vittoria a sorpresa dell'esordiente Trevor Bayne, nonostante la bruttezza delle gare in tandem. Di certo, gli ultimi dieci anni non hanno portato granchè di bene alla Daytona 500. Nelle prime quarantaquattro edizione di questa gara, c'erano state solo due gare concluse in anticipo a causa della pioggia e una ridotta sulla distanza del dieci per cento ai tempi della crisi del petroleo. Nell'ultimo decennio, ci sono state due corse accorciate per il maltempo, oltre a questa, rinviata per la prima volta a causa della pioggia. Ci sono state inoltre due edizioni che hanno subito delle pause enormi: nel 2010 a causa della famosa buca creatasi sull'asfalto e quella di domenica, sospesa per placare l'inferno scatenato dal botto di Montoya contro la turbina che serve a pulire la pista. Per concludere, da quando esiste la regola del fine gara in regime di corsa aperta (il cosidetto green-white-chekered), solo una gara si è conclusa sulla distanza prefissata. Le altre sono state allungate in media di quattro giri, con il finale di gara che si converte in un vero e proprio demolition derby, con una media di quattro neutralizzazioni negli ultimi venti giri, dove tutti i piloti tentano manovre impossibili e l'aspetto sportivo va a farsi benedire.

Quindi non resta che ricordare lo spaventoso botto di Montoya, che perso il controllo della sua Chevy a causa della trasmissione bloccata, è finito contro la turbina del mezzo che puliva la pista. Ben duecento galloni (più di 750 litri) di jet fuel sono stati riversati sull'asfalto creando un tremendo incidendio. E pensare che tali mezzi sono stati introdotti dopo la gara di Michigan del 1969, quando si schiantò un elicottero che volava a basssissima quota (una consuetudine al tempo per asciugare la pista). Non ci si ricordava di un incidente così bizzarro dai tempi in cui Mario Andretti, prima, e il figlio Michael poi, si schiantarono a Detroit nel 1991 contro il mezzo che rimorchiava la vettura ferma di Dennis Vitolo durante una neutralizzazione. Proprio Andretti senior era stato protagonista di un curioso incidente due anni prima a Toronto, schiantandosi contro la March-ALFA Romeo ferma di Roberto Guerrero (ai tempi in cui si lasciavano le vetture ritirate a bordo pista), mentre tentava di superare la March-Porsche di Teo Fabi.

Gli incidenti tra vetture in corsa e mezzi di soccorso sono tutt'altro che rari. Nel 1999 a Forth Worth, Donnie Beechler venne travolto dalla pace car, privandolo dal suo miglior risultato in carriera. Da questa parte dell'oceano, tutti ricordiamo l'incidente di Franz Engstler con la safety car a Pau nella gara del WTCC de 2009. Andò peggio a Takachiho Inoue, quando nel GP di Ungheria del 1995 scese dalla sua Arrows con il motore in fumo e venne investito da una macchina dei commissari, prendendosi una brutta botta alle gambe. Nel 2002, Nick Heidfeld se la vide veramente brutta in Brasile. A causa dell'incidente della Arrows di Enrique Beroldi nel warm up, la medical car entrò in pista e appena si fermò sul luogo dell'incidente, il pilota Alex Diaz Ribeiro (ex pilota di F1 e F2) aprì la portiera proprio mentre sopraggiungeva il pilota tedesco. La Sauber di Heidefeld piegò la portiera della Mercedes Benz, ma per questione di decimi di secondi, si evitò un brutto incidente.

Altri incidenti bizzarri, sono quelli tra le vetture in corsa e sventurati animali che tagliano loro la strada. E' recente (2008), il ritiro di Brunno Senna nella gara di Istabul di GP2 dopo uno schianto contro un cane. Stessa cosa successe a Oscar Aventìn nel 1990 a Junin durante una gara di Turismo Carretera su strade aperte. Tremenda fu l'impatto tra la McLaren di Stefan Johnansson e un cerviatto nel 1987 a Zeltweg. Sempre un cervo attraversò la strada a Neil Bonnett a Pocono nel 1984. Eddie Irvine invece fece fuori un coniglio a Silversone nel 1997.

Comunque, le storie più bizzarre della storia delle corse, arrivano dalla NASCAR. Nel 1966 a Fonda, andò in testacoda mentre era in testa. Poichè il piccolo ovale di Fonda non aveva muri di contenimento a bordo pista, la vettura di Putney scalò la curva sopraelevata uscendo dal circuito. Il pilota riescì a riprendere la vettura e percorrere una stradina vicina al canale Erie passando attraverso un cimitero per rientrare in pista. Il rientro fu perpendicolare al senso di marcia delle altre vetture e Putney venne centrato da Tiny Lund, Bobby Allison e Lyle Stetler. L'assurda manovra fece infuriare Lund che lo colpì Putney in faccia stendendolo a terra.

Il 1953 fu un anno particolare per Tim Flock, che inizio a correre con una scimmia, nota come Jock Flocko, come copilota. Un modo strano di farsi pubblicità. A Raleigh, la scimmia riuscì a slegarsi dalle cinture di sicurezza e aprì il coperchio del passaruota (utilizzato al tempo dai piloti per verificare il consumo delle gomme in gara). Un sasso entrò e colpì l'animale in testa, che impazzì e attaccò il pilota. Flock dovette fermarsi in tutta fretta ai box per togliere la scimmia dall'abitacolo. Qualche gara dopo, a Spartanburg, Flock si riposava tranquillamente dentro la sua macchina nella zona interna della pista quando un'altra macchina gli piombò addosso ferendolo.

La storia più bizzarra della storia della NASCAR risale al 1961 e successe sult traccaito di Weaverville. La gara venne sospesa poco dopo la metà della distanza prevista a causa del deterioro del manto stradale. Bunk Moore prese una buca troppo grande e perse il controllo della vettura finendo contro le postazioni dei box ferendo alcuni spettatori. Quando la gara fu interrotta, i tifosi invasero la pista scatenando una rissa, in quanto arrabbiati per l'interruzione, e presero in ostaggio i piloti per quattro ore. Ned Jarrett e Bud Moore (il team manager di Joe Weatherly) reascirono agggredendo violentemente uno dei capi della sommossa. Con questo metodo molto ortodosso, i rivoltosi se ne tornarono a casa. Cose d'altri tempi. Speriamo che il 2012 ci offra meno storie bizzarre e curiose e più competizione in pista.